Non è un supereroe né una spia della CIA, ma un semplice artista.

Un artista sensibile ai problemi dell’attualità: guerre, inquinamento, e tutto ciò che purtroppo leggiamo sui giornali o guardiamo in TV.

Un artista che crede che gli artisti abbiano un compito importante, quello di salvare il mondo.

Ma come può un artista, armato di tempera e pennello, salvare il mondo?

Pare che Michelangelo Pistoletto abbia la “formula magica” per risolvere i problemi più grossi della società.

Vuoi sapere qual è?

Michelangelo Pistoletto posa davanti alla Venere degli Stracci, una delle sue opere più note. © Copyright ANSA

 

Andiamo con ordine.

Chi è Michelangelo Pistoletto?

Classe 1933, Michelangelo Pistoletto è uno degli artisti italiani viventi più conosciuti al mondo. Oggi ha quasi 86 anni, ma da quello che ho potuto vedere alla sua conferenza al DAMSLAB di Bologna, se li porta benissimo. È un uomo ricco di idee e di vitalità, una vera e propria macchina da guerra.

Che dire, forse ho imparato più cose su di lui in un’ora di conferenza che in anni di studio sui libri.

Nato a Biella, ha iniziato come ogni buon artista che si rispetti con una ricerca sull’autoritratto.

Come si fa un autoritratto? Guardandosi allo specchio naturalmente.

E qui entra in gioco un elemento fondamentale della produzione di Pistoletto: i Quadri specchianti.

I Quadri specchianti sono il punto di arrivo di una serie di esperimenti sulle superfici riflettenti applicate nei suoi autoritratti, intitolati Il presente dove lo sfondo monocromo nero fa da padrone.

“Quando nel 1961, su un fondo nero, verniciato fino a diventare specchiante, ho cominciato a dipingere il mio viso, l’ho visto venirmi incontro, staccandosi nello spazio di un ambiente in cui tutto si muoveva, e ne sono rimasto scioccato. Mi sono anche accorto che non dovevo più guardarmi in un altro specchio, ma che potevo copiarmi guardandomi direttamente nella tela.”

Michelangelo Pistoletto, I visitatori, 1969, © Laura Verdolini

 

Perché non usare uno specchio vero?

L’artista provò ad usarlo, ma il vetro dello specchio creava problemi a causa del suo spessore. Il materiale perfetto era l’acciaio inox lucidato a specchio.

Dato che la sua intenzione era ottenere il livello massimo di oggettività, sulle superfici specchianti Pistoletto applicava immagini fotografiche. In questo modo non c’è più traccia dell’autore, e si ottiene un’opera d’arte che gioca autonomamente sulla propria dualità interna.

Ma soprattutto agisce sulla dimensione temporale e spaziale, tematica ricorrente in tutta la sua successiva produzione artistica. (Perciò tienilo bene a mente per quello che ti dirò dopo.)

Prova ad immaginare… cosa succede se uno spettatore si riflette in un Quadro specchiante?

Il suo riflesso, che è dinamico, si oppone alla staticità della fotografia. Allo stesso modo c’è una relazione tra il tempo, fermo e passato, della fotografia, con il tempo presente di ciò che è riflesso.

Il Quadro specchiante diventa l’autoritratto del mondo, in continuo divenire.

Particolare è anche la modalità con cui sono esposti: non ad altezza d’occhio, ma poggiati per terra in modo che anche l’ambiente esterno si estenda all’interno dell’opera.

Questi lavori sono il fulcro dell’attività artistica di Pistoletto, sebbene quando furono esposti per la prima volta alla Galleria Galatea nel 1963, non ottennero subito grande successo.

“Mi rendevo conto che attorno a me non c’era alcun tipo di adesione e di interesse, anzi un certo nervosismo di rifiuto, soprattutto del gallerista stesso. Così sono andato a fare un viaggio a Parigi. Lì ho incontrato Beppe Romagnoni che mi ha parlato di una galleria, dove si esponevano quadri strani e interessanti. Allora sono passato alla Galleria Sonnabend, ho chiesto di vedere questi quadri, in questo modo ho visto per la prima volta i quadri di Rauschenberg, di Jasper Johns, Resenquist e Lichtenstein, le sculture di Segal e Chamberlain. Mi hanno chiesto se ero un critico e ho riposto: no, sono un’artista. Alla domanda su che cosa facevo, ho mostrato il catalogo della Galatea e un quadro. Sono rimasti colpiti dal lavoro e sono venuti a Torino dove hanno acquistato tutta la mostra alla Galatea. Hanno rilevato il contratto con Tazzoli ed è iniziata una situazione estremamente importante per me: essere proiettato in una dimensione internazionale, fuori dalla situazione esclusivamente torinese”.

Ileana Sonnebend, l’ex moglie di Leo Castelli, il gallerista newyorkese della Pop Art, colse il potenziale di Pistoletto. Iniziò così il successo internazionale dell’artista, che nel giro di pochi anni ha esposto in numerose personali in Europa e Stati Uniti.

Marcel Broodthaers. Ileana Sonnabend and Pistoletto: Aimez-vous le pop?. 1965. This image may be subject to copyright. Reproduced here for educational purposes only.

© Marcel Broodthaers, Ileana Sonnabend and Pistoletto: Aimez-vous le pop?, 1965. Quest’immagine è soggetta a copyright.
Riprodotta solo per scopi educativi.

 

La distruzione del suo marchio

Uno dei consigli che solitamente si dà ad un artista che cerca il suo posto nel sistema dell’arte è proprio quello di avere una produzione artistica coerente in linea con il proprio marchio.

Lo avevamo già affrontato nell’articolo su Andy Warhol, che in questo fu un vero e proprio maestro.

Tuttavia, ciò che è capitato a Michelangelo Pistoletto lo ha portato ad una decisione drastica: la distruzione del suo stesso marchio.

Perché mai un artista di successo dovrebbe abbandonare il proprio stile?

“Arrivato alla fine del 1964, Leo Castelli mi dice: sbrigati a fare quadri perché sono stati tutti venduti e piazzati nei musei, voglio fare una tua mostra subito. Allora ho lavorato come un matto, sono partito e arrivato a New York, mi ricordo che nel taxi c’erano, da una parte Solomon, che aveva curato il padiglione americano alla Biennale di Venezia del 1964, quando aveva vinto Rauschenberg, e dall’altra Leo Castelli. Quest’ultimo afferma: “Senti, devi venire negli Stati Uniti oppure per te qui non c’è più niente da fare. Stai avendo un grande successo, però o entri nella nostra grande famiglia o non è possibile continuare”. Da quella volta non sono più andato per quindici anni negli Stati Uniti.”

Il mercato lo voleva in America, accanto ai più grandi artisti della Pop Art, ma lui non ha voluto rinnegare l’Italia, a costo di rimanere solo.

L'installazione di Michelangelo Pistoletto Minus Objects nel suo studio live-in, 1965-66; foto: Brassa via Flashart

L’installazione Oggetti in meno di Michelangelo Pistoletto  nel suo studio , 1965-66; foto: Brassa via Flashart

 

Michelangelo Pistoletto, tornato in Italia, iniziò a produrre gli Oggetti in meno, opere d’arte completamente diverse l’una dall’altra, realizzate per reagire alle dinamiche del mercato dell’arte. Non solo abbandona il suo vecchio stile, ma fa in modo che non si possa più riconoscere il “marchio Pistoletto”.

Con la sua nuova produzione eterogenea, Pistoletto più che rappresentare sé stesso, rappresenta la sua liberazione da qual cos’altro, qualcosa che viene meno, da qui il nome Oggetti in meno.

Essi sono fondamentali perché precedono la nascita ufficiale del movimento dell’Arte Povera, di cui parleremo però in un prossimo articolo. (Stay tuned!)

Okay, hai ragione, non ti ho ancora parlato del metodo di Pistoletto per salvare il mondo.

Non mi piace dilungarmi troppo, ma alla fine di questo articolo capirai perché ho dovuto fare questa lunga premessa.

Newspaper Sphere, 1966 (Newspapers Sphere, 1966) Quotidiani pressati, diametro 39 1/3 pollici Per gentile concessione di Cittadellarte - Fondazione Pistoletto, Fotografia di Paolo Bressano The Sphere of Newspapers fa parte delle opere chiamate Minus Objects, ideate dall'artista nel 1965-1966. Qui, la Sfera è raffigurata in occasione della mostra collettiva Con-temp-l'action (Torino, dicembre 1967) che si è svolta contemporaneamente in tre gallerie: Sperone, Stein e Il Punto. Nell'immagine sopra la Sfera è fotografata all'ingresso della Galleria Spur, bloccata nella porta, il che significa che in quella circostanza non dovrebbe entrare in una galleria d'arte.

Sfera di giornali, 1966 (Newspapers Sphere, 1966)
Giornali pressati
Per gentile concessione di Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, Fotografia di Paolo Bressano ©
La Sfera di giornali fa parte delle opere chiamate Oggetti in meno, ideati dall’artista nel 1965-1966. Qui, la Sfera è raffigurata in occasione della mostra collettiva Con-temp-l’azione (Torino, dicembre 1967) che si è svolta contemporaneamente in tre gallerie: Sperone, Stein e Il Punto. Nell’immagine sopra la Sfera è fotografata all’ingresso della galleria, bloccata nella porta, il che significa che in quella circostanza non dovrebbe entrare in una galleria d’arte.

 

L’arte come impegno sociale

Se hai seguito le mie stories su Instagram, avrai notato che prima della conferenza di Pistoletto ci sono state due performance nei quali è stata coinvolta una Sfera di giornali.

La performance con la Sfera di giornali in realtà non è una novità. Pistoletto ha realizzato tantissime performance nel mondo con sfere di giornali, tutte repliche della prima che si svolse a Torino nel 1967.

Realizzata nel 1966, la Sfera, dopo essere stata trasportata nella Fiat rossa di Pistoletto, attraversò Piazza San Carlo ed fu fatta rotolare dalla Galleria Christian Stein alla Galleria Sperone, dove poi restò per la mostra collettiva Con-temp-l’azione.

Cosa vuole dirci Pistoletto con questa performance?

La sfera di giornali che rotola è un’espressione di circolazione di idee, ma soprattutto il fatto che persone diverse si uniscano per farla camminare allude alla missione dell’arte come impegno sociale.

Eccoci arrivati al punto. Può l’arte migliorare concretamente il mondo?

Secondo Pistoletto ciò è possibile! Per questo motivo è importante che l’arte sia in diretta interazione con tutte le aree dell’attività umana che formano la società. Gli artisti quindi, più che esprimersi in opere individuali, devono creare relazioni tra le persone, per attivare la creatività nella società.

Per questo motivo infatti nel 1998 Pistoletto ha fondato Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, una ex manifattura di Biella trasformata in centro culturale, residenza di artisti, spazio espositivo per mostre e conferenze, microcosmo impegnato sul fronte sociale.

Scultura da passeggio, 1967 (Walking Sculpture, 1967) Performance, streets of Turin Photograms from Ugo Nespolo’s movie Buon giorno Michelangelo (1968). In December 1967, on the occasion of the group show Con-temp-l’azione, as well as in January 1968, Pistoletto walks the Sfera di giornali (Newspapers Sphere) down the streets of Turin together with other artists participating in the exhibition, the gallerist Gian Enzo Sperone, the curator Daniela Palazzoli, Maria Pioppi and passerbys who tagged along

Scultura da passeggio, 1967 (Walking Sculpture, 1967)
Performance, strade di Torino
Fotogrammi tratti dal film Buon giorno Michelangelo di Ugo Nespolo  (1968).

 

La “formula magica”: Il Terzo Paradiso

Niente Abracadabra o Wingarium Leviosa… questa volta la formula magica si chiama Terzo Paradiso.

Perché terzo? Quanti paradisi esistono?

Secondo Pistoletto esiste un primo paradiso che è quello in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura. Il secondo invece è quello creato dall’uomo, ossia quello dell’artificiale, della scienza e della tecnologia.

Il Terzo Paradiso invece è il risultato della fusione dei primi due, in equilibrio quindi tra artificio e natura.

È rappresentato da un simbolo che deriva dalla riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, composto in questo caso da tre cerchi consecutivi, in cui quello centrale è la compenetrazione dei due esterni più piccoli che rappresentano gli opposti. Il cerchio evoca a sua volta i cicli della rigenerazione della materia e della circolarità del tempo.

Il Terzo Paradiso è in pratica un’opera collettiva che sollecita un atto di cambiamento alla quale ciascuno è chiamato a partecipare in prima persona.

Infatti queste idee non sono rimaste sul piano teorico. Sono messe in pratica ogni giorno nelle attività di Cittadellarte e non solo. In tutto il mondo nascono continuamente, infatti, nuove installazioni artistiche che diffondono capillarmente i significati che il simbolo del Terzo Paradiso porta con sé.

E non solo nel mondo! Il Terzo paradiso è arrivato anche nello spazio con la missione VITA dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) che ha portato Paolo Nespoli, sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Infografica realizzata in occasione della seconda edizione dell'Iamfest di Lercara Friddi, il festival della rigenerazione urbana, omaggio al Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. Credits: Archilovers.

Infografica realizzata in occasione della seconda edizione dell’Iamfest di Lercara Friddi, il festival della rigenerazione urbana, omaggio al Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. Credits: Archilovers.

 

Conclusioni

Come avrai potuto notare a Pistoletto non interessa più l’arte in senso stretto. Dopo una vita trascorsa tra musei e gallerie, è il tempo di cambiare veramente le cose.

Ciò che penso è che Pistoletto, l’artista che in passato ha rinnegato il suo stesso marchio, non potrà mai farne a meno.

Mi spiego.

Il passato è passato, ma fa parte di noi. Pistoletto ha cercato di rivoluzionare il sistema dell’arte degli anni ‘60 e ’70, andando contro il sistema stesso e contro ciò che aveva lui stesso creato fino a quel momento. Non dobbiamo dimenticare però che stiamo parlando di un periodo storico denso di atti rivoluzionari.

Ora invece sfrutta la sua fama e il suo marchio per tramandare un messaggio positivo di speranza. Tratta tematiche sociopolitiche attraverso conferenze, performance e installazioni artistiche.

Per qualcuno sarà utopistico, ma io voglio credere al messaggio del Terzo Paradiso, perché credo che tutti noi abbiamo una responsabilità sociale nelle nostre scelte quotidiane.

Tu che ne pensi? Può l’arte migliorare il mondo?

Scrivimelo nei commenti qui sotto oppure su Instagram.

La tua opinione è importante per me.

A presto,

Giusy.

“Il terzo paradiso” di Michelangelo Pistoletto: un’opera di land art nel Bosco di San Francesco

Il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto: un’opera di land art nel Bosco di San Francesco ad Assisi