Chi non conosce Andy Warhol? Lo adorano tutti grandi e piccini.  Warhol non era solo un artista talentuoso, ma anche un esperto uomo d’affari. In questo articolo scoprirai 3 lezioni da imparare dal genio assoluto della pop art americana.

Un’impiegata passa davanti a un lavoro della serie Dollar signs di Andy Warhol esposta da Sotheby’s, a Londra.

Un’impiegata passa davanti a un lavoro della serie Dollar signs di Andy Warhol esposta da Sotheby’s, a Londra. Fonte: Internazionale.

 

Arte e business, una vecchia amicizia

Prima di parlare dei meccanismi di marketing utilizzati da Andy Warhol, facciamo un passo indietro.

Apro una piccola parentesi sull’arte del passato perché sento troppo spesso gente incriminare l’arte contemporanea e il suo legame col denaro.

È chiaro che l’attuale sistema capitalistico stia portando l’arte sempre più verso la speculazione. Cifre record all’asta, giovani artisti sconosciuti storicizzati in grandi musei, mostre temporanee realizzate più per fare denaro che per educare.

Tutto ciò non fa bene, è tutto parte di un sistema malato.

Ad ogni modo, vorrei ricordare a coloro che sentono la mancanza della vera arte, quella del passato, quella che non era fatta solo per il denaro, che invece il denaro contava eccome.

Sapevi che il patrimonio di Michelangelo Buonarroti oggi avrebbe un valore di 50 milioni di euro?

Michelangelo non era solo ricco, ma era l’artista più ricco del Rinascimento. Se la notizia ti ha sconvolto, ti capisco.

Purtroppo immaginiamo gli artisti di oggi e del passato come persone squattrinate, gente che ha scelto di dipingere o scolpire per pura vocazione, anche a costo di fare la fame.

I più grandi capolavori della storia dell’arte sono stati tutti finanziati da grandi mecenati come re, papi e nobili in generale. E gli artisti dovevano seguire determinate regole impartite dal committente.

Ti svelo un’altra chicca… Sapevi che nel Rinascimento più figure c’erano nel dipinto, più alto era il suo prezzo?

Fare l’artista era una professione come un’altra e pertanto si lavorava per essere retribuiti. Oggi è ancora così.

 

Senza citare necessariamente Michelangelo, la prossima volta che qualcuno ti dice che il business non ha spazio nell’arte ricorda l’esempio dell’uomo d’affari di maggior successo nella storia dell’arte: Andy Warhol.

Warhol è senz’altro uno dei più grandi artisti del ventesimo secolo. Prima grafico pubblicitario, poi pittore, regista, produttore è divenuto infine una celebrità grazie alla sua enorme presenza mediatica.

Oltre al suo incredibile talento infatti, possedeva anche una grande conoscenza di brand, pubbliche relazioni e marketing.

La business art è il gradino subito dopo l’arte. Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business. Dopo aver fatto la cosa chiamata “arte”, o comunque la si voglia chiamare, mi sono dedicato alla business art. Voglio essere un business man dell’arte o un artista del business. Essere bravi negli affari è la forma d’arte più affascinante. Durante l’epoca hippy la gente aveva rifiutato l’idea del business e diceva: “i soldi fanno schifo” e “lavorare fa schifo”, ma far soldi è un’arte, lavorare è un’arte, fare buoni affari è la migliore forma d’arte.

Sei curioso di sapere le strategie di business di Andy Warhol? Iniziamo!

Andy Warhol, Campbell’s Soup, 1962, MoMA.

 

1. Pensa fuori dagli schemi

“Think different” non è solo lo slogan della Apple. Se qualcuno mi chiedesse di nominare un artista che pensa fuori dagli schemi, io gli risponderei Andy Warhol.

Ragioniamo insieme. Com’era l’arte prima di Andy Warhol? Sicuramente non c’erano immagini di oggetti che si potevano trovare sugli scaffali dei supermercati.

La maggior parte delle opere d’arte sono state realizzate per essere apprezzate ed ammirate, o per raccontare qualcosa. Prima di Andy nessuna opera d’arte ritraeva oggetti o persone senza attribuirgli un significato, solo per esaltarne la superficialità.

Ha creato opere in serie basate su storie reali di disastri apparsi sui giornali, scansionando articoli e fotografie. Ha reinterpretato sulla tela icone della cultura pop come Marilyn, Elvis e Jackie Kennedy.

Spesso però chi pensa dagli schemi non viene subito capito.

I primi che credettero nelle idee di Warhol all’inizio della sua carriera furono Irving Blum e Walter Hopps, che gli offrirono una prima mostra personale nel 1962 alla Galleria Ferus.

Come negli scaffali di un supermercato, 32 tele di Zuppa Campbell furono esposte in sequenza su delle mensole. Erano sicuri che la mostra avrebbe riscosso successo, ma si sbagliavano.

La mostra fu un fallimento e la critica stroncò le opere.

Blum, che era riuscito a vendere solo una tela mentre altre quattro erano in trattativa, decise di fare qualcosa di drastico. Acquistò tutti i dipinti, anche quello già venduto, mantenendo intatta la serie, e fece un accordo con Warhol per acquistarla in 10 rate mensili da 100 dollari.

Vuoi sapere com’è andata a finire?

Blum ha tenuto per sé i dipinti fino al 1996 per poi venderli al Museum of Modern Art per 15 milioni di dollari. Tutto è bene ciò che finisce bene.

A sinistra: Andy Warhol: Jackie 1964 © awf; image courtesy of the Andy Warhol Museum. A destra: Andy Warhol: Marilyn 1967 © awf; courtesy of the Mori Art Museum

A sinistra: Andy Warhol: Jackie 1964 © awf; image courtesy of the Andy Warhol Museum. A destra: Andy Warhol: Marilyn 1967 © awf; courtesy of the Mori Art Museum

A sinistra: Andy Warhol: Jackie 1964 © awf; image courtesy of the Andy Warhol Museum. A destra: Andy Warhol: Marilyn 1967 © awf; courtesy of the Mori Art Museum

 

2. Crea il tuo marchio personale

Andy Warhol è sinonimo di Pop Art, molto più di qualsiasi altro suo collega contemporaneo.

La motivazione?

Innanzitutto Warhol si concentrava sull’aspetto economico dell’arte tanto quanto sulla creazione di opere d’arte, e saggiamente, si rese conto dell’importanza di avere un proprio marchio distintivo e coerente. All’epoca nessuno capiva il significato di personal branding come Warhol.

Il tuo marchio personale è come ti vendi al mondo.

Warhol studiò un look molto appariscente: dolcevita nero, jeans neri, Reebok bianche, montature per occhiali in plastica rosa e una parrucca color platino rigorosamente arruffata. In una città colma di artisti come New York, nessuno catturava l’attenzione come lui.

Strategicamente, creò attorno a sé un’aura di mistero, stimolando continue discussioni.

«Se volete davvero sapere tutto su Andy Warhol guardate alla superficie dei miei quadri e dei miei film ed eccomi, Andy Warhol, sono proprio lì. Non c’è niente a parte questo».

Ma non finisce qui!

Warhol ha prodotto tantissime opere d’arte, ma i suoi ritratti più sono quelli di Marilyn Monroe e Jacqueline Kennedy. Anche questi ritratti facevano parte della sua strategia di personal branding.

Ha sfruttato il potere delle celebrità, generando un’associazione di significati da una celebrità su quello di altre celebrità, oltre che sul suo stesso marchio.

Andy Warhol and Jean-Michel Basquiat, Paramount, 1984-85,tecnica mista su tela.

 

3. Chi fa da sè NON fa per tre: le collaborazioni

Cosa succede se più persone uniscono le proprie abilità, capacità o risorse?

Molte storie di successo sono il risultato di collaborazioni. Le giuste collaborazioni non portano solo a soddisfazioni di tipo artistico o creativo, ma danno spesso un buon impulso agli affari.

Warhol aveva molte idee innovative e avviò innumerevoli progetti creativi. Era importante per lui quindi circondarsi di persone su cui poter contare. Alla Factory non mancavano gli assistenti, dato che sia gli artisti affermati che gli aspiranti tali frequentavano lo studio per lavorare con lui.

Uno dei più famosi collaboratori di Warhol fu ad esempio Jean Michel Basquiat. Operando insieme per lo più durante il 1984 e il 1985, Warhol e Basquiat produssero quasi duecento opere.

Allo stesso modo, dato che Warhol era un uomo d’affari tanto quanto un artista, ha anche collaborato con un certo numero di aziende.

Ad esempio ha lavorato con MTV per sviluppare un programma televisivo chiamato Andy Warhol’s Fifteen Minutes. Ha dipinto un’auto per una serie limitata di BMW. Ha disegnato un certo numero di copertine di album per i Rolling Stones e i Velvet Underground. È apparso lui stesso nelle pubblicità di marchi come Vidal Sassoon, Pioneer, Braniff Airlines e L.A. Eyeworks.

A trent’anni dalla sua morte, le collaborazioni continuano. Oggi, il lavoro di Warhol appare ovunque: tappeti e tazze da caffè, calendari e biglietti di auguri, t-shirt e skateboard. In questo momento, solo in Italia, ci sono tre mostre diverse su Warhol: “Warhol & Friends” a Palazzo Albergati a Bologna, “Andy Warhol. L’alchimista degli anni Sessanta” alla Reggia di Monza ed “Andy Warhol” al Complesso del Vittoriano a Roma.

 

Vista generale di una sala della mostra Warhol and Friends.New York negli anni '80 a Palazzo Albergati a Bologna (Photo by Roberto Serra/Iguana Press/Getty Images for ARTHEMISIA)

Vista generale di una sala della mostra Warhol and Friends. New York negli anni ’80 a Palazzo Albergati a Bologna (Photo by Roberto Serra/Iguana Press/Getty Images for ARTHEMISIA)

 

I fan di Andy Warhol vanno dagli studenti d’arte ai collezionisti con enormi conti bancari, dai VIP alle persone comuni. La sua arte, combinata con il suo aspetto e il suo atteggiamento, è stata determinante nel creare una nuova generazione di fan estremamente fedele, del tutto simile a quella di aziende come Apple o Volkswagen.

Mi piace immaginare quale sarebbe stata la strategia di Andy Warhol nell’epoca dei social. Secondo me avrebbe sfruttato piattaforme come Instagram e Twitter in modo originale ed anticonformista, perfettamente in linea con il personaggio da lui creato.

Secondo te come si sarebbe comportato Andy Warhol nell’epoca dei social?

Scrivimelo qui nei commenti o su Instagram!

Al prossimo articolo,

Giusy.